Domenica 16 febbraio sarai ordinato diacono per le mani del Cardinal Zuppi. Com’è nata questa tua vocazione?
Lungo tutto la mia esistenza ho avuto la fortuna di coltivare il dono della fede, che non mi ha mai abbandonato, e che mi portò, nella prima metà degli anni Ottanta, a entrare in Seminario. Tornato dopo tre anni alla vita quotidiana, ho svolto diverse attività di apostolato in svariate parrocchie, fino a quando io e la mia famiglia abbiamo trovato “casa” definitivamente a sant’Anna, dove fummo accolti con amicizia e disponibilità dal parroco don Guido e dai membri della comunità. Quando il parroco si dimise, dopo aver retto la parrocchia per più di cinquant’anni, entrammo in un oggettiva fase di difficoltà, nella quale ci sentimmo un po’ smarriti. Fu in quell’occasione che avvertii molto forte la chiamata a rimboccarmi le maniche, per così dire, e ad impegnarmi ancora di più per aiutare una comunità che andava alla ricerca della sa identità, dopo tanti anni di solide certezze. Cominciai il percorso previsto per i ministeri istituiti, seguendo la strada maestra da decenni presente in diocesi, e divenendo lettore, ministero consono alla mia passione per gli studi e la lettura della Bibbia. Avvertii poi che forse ciò none era tutto, e che Dio mi chiamava a mettermi in gioco sempre di più, lasciando le reti e ponendomi con ancor maggiore decisione alla sequela. E così, sottoposto al discernimento ecclesiale durato vari anni, a servizio della Chiesa, che amo, oggi divento diacono. Come mi piace dire, la mia è sì una chiamata per la comunità, ma è anche una chiamata di comunità, perché senza i fratelli e le sorelle di fede che mi hanno accompagnato in questo cammino, senza l’ambiente nel quale io, mia moglie Angela e i miei figli, siamo cresciuti, probabilmente la mia vocazione non sarebbe nata. Lo sento come il diaconato di tutti coloro che si sono spesi in questi anni per rendere sant’Anna più viva e accogliente.
Esiste, a tuo avvito, un nesso fra la tua vocazione diaconale e la tua professione di insegnante di religione cattolica?
Ringrazio della domanda, che tocca un nodo sui cui tante volte mi sono trovato a riflettere. In effetti, mi ha sempre stupito che, nel dispiegare la mia dimensione pastorale ed ecclesiale, quasi mai venissi interpellato come docente di religione, cioè come conoscitore del mondo giovanile al quale la Chiesa, giustamente, guarda sempre con vivissimo interesse. Spesso anzi, mi è capitato di andare a cozzare, quando avanzavo qualche proposta, contro l’assioma che dei giovani si devono occupare soltanto giovani un poco più grandi di loro. A volte mi dicevo scherzando ma non poi tanto, che per la parrocchia, ch’io fossi docente di religione o impiegato del catasto, era in fondo la medesima cosa.
Io invece ho sempre sentito molto stretto il nesso, anzi, oserei dire che le due attività di professore e di operatore pastorale le ho considerate un’unica e sola attività, svolta in ambiti diversi e con modalità diverse, ma con lo stesso fine: spendermi, come so e come posso, per il prossimo, seguendo in tutto il mia maestro, Gesù. I corridoi della mia scuola, il liceo Fermi, sono stati i miei sentieri di Galilea da percorrere portando il Vangelo, il cortile dove trascorro gli intervalli coi miei studenti, il lago di Tiberiade dei nostri giorni, dove gettare le reti. E questo non certo per fare proseliti, mansione che non pertiene all’attività educativa nella scuola, ma per accompagnare, direbbe papa Francesco, mescolando i miei frammenti di umanità costituiti di gioie e fatiche, ai frammenti dei giovani, che hanno sete di sguardi che li notino, di orecchie che li ascoltino, di labbra che parlino ai loro cuori. E scoprendo che il loro anelito è anche il mio, e che insieme cresciamo. In questa attività, che svolgo oramai da trentacinque anni, la mia dimensione cristiana si è arricchita sempre più, e questo ha avuto senz’altro un riverbero positivo anche in parrocchia e sulla mia chiamata vocazionale. Quindi la mia vita si svolge, dalla mattina alla sera, in un continuum di impegno evangelico che non soltanto non mi stanca, ma mi sprona a fare sempre meglio. E questa la considero una vera grazia. Del resto come scriveva Bernanos, se mi volgo indietro, vedo che davvero “tutto è grazia”.